Vanitas
Juan de Valdés Leal
XVII secolo, Olio su tela
L’opera è associabile a diversi esempi spagnoli datati verso la fine del Seicento, prime tra tutte le due grandi tele, di mano di Juan de Valdés Leal, della chiesa del Hospital de la Caridad a Siviglia, nei quali è rappresentata nello stesso modo la condizione effimera di tutti gli uomini; la tiara papale, il copricapo vescovile, lo scettro e la corona sono significativi simboli del disinganno della gloria terrena. L’iscrizione in latino, dipinta a lettere dorate in stampatello, è tratta dalle Meditationes de cognitione humanae conditionis di Bernardo da Chiaravalle ove il santo, esprimendosi con versi crudi (Nihil aliud est Homo quam Sperma fetidum, Saccus Stercorum, Cibus Vermium) ricorda all’uomo la sua condizione miserabile in terra, nella promessa, per gli uomini di fede, di una gloriosa vita eterna nei cieli. Questa imago mortis suona dunque come una ammonizione e un invito alla fede e si inquadra in quella tradizione di Vanitas che già nel Quattrocento ritroviamo a Palermo nel Trionfo della Morte, affresco realizzato da un ignoto pittore probabilmente francese o catalano sul muro di un lazzaretto, e che è forse il più famoso esempio di questo genere.